Di Cuba e della sua terra rossa e del suo Popolo lui, Gualtiero Menoni, ne raccontava di tanto e bene perché amava veramente quel Paese. C’era ancora Fulgencio Batista quando iniziò a compiere i suoi primi viaggi e poi altri ancora, dopo la rivoluzione, fino alla decisione nell’anno 1981 di proporre la Bodeguita del Medio di calle Empedrado, a La Habana Vieja, nella sua Milano.
Era un uomo, un “signore” d’altri tempi, come adesso è difficile, se non rarissimo, trovarne di altri. Generoso d’animo, garbato nei movimenti e nel dialogo sempre sereno ed espressivo, di buon ingegno e fantasia, aveva umiltà e sapeva ascoltare, comunista, meglio, pareva interpretare come sue le parole che il Comandante Ernesto Guevara ha lasciato quale testamento ai suoi figli Hildita, Aleidita, Camilo, Celia ed Ernesto: “Sobre todo, sean siempre capaces de sentir en lo más hondo cualquier injusticia cometida contra cualquiera en cualquier parte del mundo. Es la cualidad más linda de un revolucionario.”
Nella mattinata, verso le dieci all’incirca, era solito uscire dal portone della casa di via Col di Lana: alzava la testa al cielo, in modo strano, come per vedere che “tempo buttava” e come chi, bella o brutta fosse stata la giornata, era comunque determinato a sbrigare tutte le sue faccende.
Dice la storia, correva l’anno 1780, che in un albeggiare nitido da una “vista” sopra la Gran Piedra nel cuore della Sierra Maestra, poco distante dalla città di Santiago de Cuba, Sebastián Kindelán O’Reagan, colonnello e cavaliere dell’Ordine di Santiago e governatore del Distretto Orientale di Cuba e l’emigrato francese Prudencio Cassimajor, quest’ultimo sfuggito agli sconvolgimenti accaduti sull’isola di Haiti, espressero il sogno, poi diventato realtà, di rendere fertile per la produzione del caffè la maggior parte dei terreni delle montagne orientali.
Dice ancora la storia, correva l’anno 1860, che con Facundo Bacardì y Mazò iniziò il segreto, tramandato da padre in figlio, del “ron” più famoso al mondo. Ma Alfonsito Matamoros e Mariano Lavigne, addetti alla produzione tra i pochi che potevano entrare nella camera della “mezcla” e che sapevano anche dei componenti “l’essenza”, affermavano più semplicemente che, oltre al “taglio” con “ron” invecchiato lunghissimi anni, il metodo sta in una buona acquavite e che l’acquavite dipende da una buona melassa e a tale proposito la “miel” dello zuccherificio Algodonales è la migliore.
La Bodeguita del Medio di Milano è ciò che è stato il sogno di un uomo, Gualtiero Menoni, il segreto: la passione e la voglia di dare un senso alla vita, costruendo. A partire dalla quotidianità, dagli affetti, dall’esperienza umana che ti trasmettono, dal talento e dal sapere, dalle cose in cui si crede, dalle cose e dalle persone che si amano, dai valori per cui si è disposti a sacrificare qualcosa.
Gualtiero Menoni sarà sempre lì, seduto al tavolo delle “donne” di Gauguin, sotto la palma reale, ad accogliere la sua gente, la gente della Bodeguita del Medio che lo ricorderà “para siempre”.
Nell’aprile 1999, Gualtiero Menoni scrisse: “Mani fraterne, da un orizzonte all’altro, unite nello spirito.”
Era un uomo, un “signore” d’altri tempi, come adesso è difficile, se non rarissimo, trovarne di altri. Generoso d’animo, garbato nei movimenti e nel dialogo sempre sereno ed espressivo, di buon ingegno e fantasia, aveva umiltà e sapeva ascoltare, comunista, meglio, pareva interpretare come sue le parole che il Comandante Ernesto Guevara ha lasciato quale testamento ai suoi figli Hildita, Aleidita, Camilo, Celia ed Ernesto: “Sobre todo, sean siempre capaces de sentir en lo más hondo cualquier injusticia cometida contra cualquiera en cualquier parte del mundo. Es la cualidad más linda de un revolucionario.”
Nella mattinata, verso le dieci all’incirca, era solito uscire dal portone della casa di via Col di Lana: alzava la testa al cielo, in modo strano, come per vedere che “tempo buttava” e come chi, bella o brutta fosse stata la giornata, era comunque determinato a sbrigare tutte le sue faccende.
Dice la storia, correva l’anno 1780, che in un albeggiare nitido da una “vista” sopra la Gran Piedra nel cuore della Sierra Maestra, poco distante dalla città di Santiago de Cuba, Sebastián Kindelán O’Reagan, colonnello e cavaliere dell’Ordine di Santiago e governatore del Distretto Orientale di Cuba e l’emigrato francese Prudencio Cassimajor, quest’ultimo sfuggito agli sconvolgimenti accaduti sull’isola di Haiti, espressero il sogno, poi diventato realtà, di rendere fertile per la produzione del caffè la maggior parte dei terreni delle montagne orientali.
Dice ancora la storia, correva l’anno 1860, che con Facundo Bacardì y Mazò iniziò il segreto, tramandato da padre in figlio, del “ron” più famoso al mondo. Ma Alfonsito Matamoros e Mariano Lavigne, addetti alla produzione tra i pochi che potevano entrare nella camera della “mezcla” e che sapevano anche dei componenti “l’essenza”, affermavano più semplicemente che, oltre al “taglio” con “ron” invecchiato lunghissimi anni, il metodo sta in una buona acquavite e che l’acquavite dipende da una buona melassa e a tale proposito la “miel” dello zuccherificio Algodonales è la migliore.
La Bodeguita del Medio di Milano è ciò che è stato il sogno di un uomo, Gualtiero Menoni, il segreto: la passione e la voglia di dare un senso alla vita, costruendo. A partire dalla quotidianità, dagli affetti, dall’esperienza umana che ti trasmettono, dal talento e dal sapere, dalle cose in cui si crede, dalle cose e dalle persone che si amano, dai valori per cui si è disposti a sacrificare qualcosa.
Gualtiero Menoni sarà sempre lì, seduto al tavolo delle “donne” di Gauguin, sotto la palma reale, ad accogliere la sua gente, la gente della Bodeguita del Medio che lo ricorderà “para siempre”.
Nell’aprile 1999, Gualtiero Menoni scrisse: “Mani fraterne, da un orizzonte all’altro, unite nello spirito.”